Negli ultimi secoli del medioevo e agli inizi dell’età moderna la predicazione in volgare ai fedeli ha rappresentato un fenomeno di grande rilevanza in Italia. Il suo impatto sulla vita sociale e religiosa ha avuto un momento di grande espansione durante il Rinascimento. Predicatori famosi e meno famosi percorrevano la penisola, ricercati a volte alla stregua di ‘divi della penitenza’ (una felice definizione dell’antropologa Ida Magli). Le loro tracce sono state ampiamente affidate alla scrittura di sermoni latini e alla reportatio delle prediche volgari, dapprima in un numero enorme di manoscritti, e ben presto nelle prime edizioni a stampa. Non poteva mancare un riflesso della loro attività e della loro fama anche nelle immagini affidate alle miniature dei manoscritti, ai dipinti su tavola, agli affreschi murali, ai fogli a stampa. La rappresentazione delle prediche e dei predicatori nell’arte del Rinascimento italiano costituisce una fonte di grande rilievo per consentirci di risalire alla pratica della predicazione in quella epoca. Nel prender forma, peraltro, la loro iconografia non forniva un’immagine a ssimilabile alle istantanee fotografiche, per una necessaria dipendenza dalle convenzioni tecniche e religiose. In tutto ciò assunse un particolare rilievo lo statuto che fu conferito ai predicatori, raffigurati come santi ovvero beati proprio in virtù della loro attività. L’attributo iconografico di tale santità, che ne definiva la raffigurazione ai fini di una identificazione univoca, fu allora desunto in maniera diretta appunto con riferimento al contenuto delle loro prediche. A ccanto alla strada maestra dei santi predicatori si aprirono numerosi altri percorsi iconografici, che culminarono nella rappresentazione su un pulpito sia del Cristo sia dell’Anticristo.
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