Caterina da Siena e la scelta biografica di André Vauchez
di Sofia Boesch Gajano
La monografia di André Vauchez, Catherine de Sienne. Vie et passions (Paris 2015), uscita ora anche in traduzione italiana per i tipi della Laterza, segue a pochi anni di distanza quella dedicata dallo stesso autore a Francesco d’Assisi (François d’Assise, Paris 2009). Si tratta di due dei santi più famosi di età medievale, due icone. La scelta dell’oggetto e quella del genere biografico per ricostruirne il profilo esistenziale e spirituale e la memoria postuma da parte di un autore, famoso per la sua storia della santità canonizzata, pietra miliare della storiografia agiografica, e per gli innumerevoli saggi sulla storia religiosa delle società medioevali, conferma come gli studi agiografici possano dare un contributo originale alla riflessione sulla scrittura della storia.
La ricerca relativa alla santità impone infatti indagini diacroniche, comprendenti non solo il percorso dalla nascita alla morte, ma anche la loro memoria storica e devozionale, il complesso di testi scritti e iconografici che ne hanno modellato nel corso dei secoli la loro fisionomia fisica e spirituale. Il volume si struttura a partire da un esquisse d’une biographie: l’espressione, la stessa usata nella monografia su san Francesco, sembra segnalare, almeno per me che non sono francese, le difficoltà di una ricostruzione propriamente “biografica”, come si precisa nei capitoli seguenti, dedicati alla memoria di Caterina conservata dai suoi stessi scritti (pp. 139-150), dalle agiografie (pp. 108-113), dalle testimonianze raccolte in vista della sua canonizzazione (pp. 113-121), che fu tardiva rispetto all’imponenza del personaggio, ma ben spiegabile nel contesto conciliarista, dove non pochi erano coloro che attribuivano a Caterina «une lourde responsabilité dans l’èclatement di schisme dans la mesure ou elle avait poussé la papauté à revenir à Rome, ce qui fut à l’origine de la double élection pontificale de 1378» (p. 115). Le difficoltà di una ricostruzione biografica completamente unitaria emerge dalla distinzione operata nella strutturazione del volume tra l’esquisse e la ricerca dei tratti peculiari della personalità di Caterina (À la recherche de Catherine: une personnalité transgressive, pp.153-223), una distinzione che lascia dunque al lettore il compito di una lettura integrata. Ma l’importante è che nessuno dei problemi posti dalla complessa fisionomia della santa senese venga trascurato: dalla “santa anoressia” al linguaggio del corpo Vauchez, in dialogo spesso solo implicito, ma sempre intenso, con la storia delle donne e le sue innovazioni, espone con chiarezza la propria interpretazione, in particolare in merito al profetismo (pp. 180-194).
Nell’ottica qui privilegiata, cioè l’attenzione alla “lunga vita” della santa, si devono segnalare le belle pagine dedicate alle Images et “lectures” de Catherine de Sienne au Moyen Âge, un percorso esemplare nella storia dell’agiografia cateriniana, con un’attenzione particolare riservata a Tommaso Caffarini, che costruisce il personaggio di une «authentique mystique» (p. 136), e, contrariamente a Raimondo da Capua, insiste sulla realtà fisica delle stimmate, leggendovi i segni della devozione alla passione di Cristo, con l’intento di raggiungere soprattutto quel pubblico di religiose e terziarie domenicane, sensibili al linguaggio del corpo, trasmesso, oltre che dagli scritti, dalle immagini che accompagnavano i testi di Caterina o a lei relativi, «qui devenaient ainsi un point d’appui pour la mèditation ou la contemplation, et un moyen da souder leurs communautès dans une commune admiration pour la sainte» (p. 137). Una “lunga vita” seguita fino alla storiografia del Novecento, alla nascita degli studi critici relativi alla santa senese (segnalo in particolare le pp. 123-125 dedicate a Robert Fawtier), alla proclamazione come dottore della Chiesa per la sua «parola di saggezza» e «parola di scienza» da parte di Paolo VI nel 1970 e la sanzione del culto come patrona d’Europa, insieme a Brigida di Svezia, da parte di Giovanni Paolo II nel 1999.
La biografia agiografica indica un metodo di ricerca e di ricostruzione storica valido non solo per quei personaggi, per i quali è indispensabile ricostruire le diverse fasi con cui si giunge alla sanzione della loro santità, ma più in generale per ogni personaggio storico, il cui profilo dovrebbe sempre essere completato dalla memoria iscritta in una varietà di testimonianze, da cui dipende la possibilità stessa di attingere al dato strettamente biografico. Ben lo aveva capito Jacques Le Goff quando aveva scritto il suo San Luigi, uscito nel 1996 in Francia e nel 1997 in Italia. Si trattava di «una scelta ardita», come la definivo in una recensione uscita sul Manifesto (27 febbraio 1997), rispetto alla tradizione storiografica delle «Annales», una scelta sostenuta dall’autore come espressione dell’immutata esigenza di una storia globale, realizzata in questo caso attraverso un soggetto globalizzante: e «quale oggetto più e meglio di un personaggio cristallizza intorno a sé la totalità del suo ambiente e l’insieme degli ambienti che lo storico è abituato a suddividere nel campo del sapere storico?». L’approccio biografico, mirava, secondo Le Goff, a produrre «effetti di realtà»: non solo, dunque, una forma di scrittura, ma lo strumento per un’analisi delle testimonianze capace di «produrre una ragionevole convinzione di verità storica». Ma la biografia suscitava ancora molte diffidenze ideologiche prima ancora che metodologiche, come metteva in evidenza il commento di Rossana Rossanda, quasi un controcanto alla mia recensione, che sottolineava le insidie poste dalla biografia «sulla strada della verità storica». Ma bisogna ricordare che dagli anni Ottanta il tema del rapporto biografia-storiografia era tornato alla ribalta della riflessione e della pratica storiografica (Giovani Levi, Les usages de la biographie, in «Annales E.S.C.», 1989, n. 6, pp. 1325-1336), confermando tuttavia la sordità della storiografia dominante, e proprio di quella “progressista”, nei confronti degli apporti originali che venivano dalla storiografia religiosa e in particolare da quella agiografica.
Sarei lieta se queste osservazioni servissero ad alimentare una riflessione collettiva all’interno e all’esterno dell’AISSCA.